L’UOMO DELLE NUVOLE (Mathias Malzieu)



Quando devo dare un commento sui romanzi dello scrittore/cantante/musicista francese, non nascondo mai la mia ammirazione per quello che amo definire un visionario della narrazione. Pur essendo dichiaratamente partigiana, nel senso che sto oggettivamente e soggettivamente dalla sua parte, credo di riuscire a mantenere, nel bene e nel male, una certa onestà intellettuale. Perché, a prescindere dal gusto personale, se esiste uno stile narrativo non definito, una capacità di inventare storie sopra le righe che si nutrono dello stesso carico emotivo che suscitano nel lettore; se esiste un modo per mostrare il proprio essere scrittore senza cadere nello sterile stereotipo di chi invece fa solo narrativa, ebbene, tutto ciò è personificato magistralmente da Mathias Malzieu. I suoi romanzi rappresentano il sesto senso capace di attivare gli altri cinque tutti insieme. Contorto, astruso e poi quasi miseramente banale come il nome del protagonista de L’uomo delle nuvole, Tom Cloudman, l’acrobata peggiore del mondo che sogna di volare. Si arrampica Tom, si lancia nel vuoto e poi cade. Una, due, tre, infinite volte. Ma si rialza sempre. Per lanciarsi ancora e cadere di nuovo. La sua mediocrità non lo ferma, né tanto meno le ferite sul suo corpo. Ha un sogno Cloudman: volare nel cielo come fanno gli uccelli. Ma un giorno a fermarlo è il letto del reparto di oncologia di un ospedale. E una diagnosi funesta e sconvolgente. Il male incurabile che nel suo mondo si chiama Barbabietola, arriva minaccioso e vuole strappargli i sogni ancor prima della sua vita. Solo Endorphine, moderna creatura mitologica gli offrirà una via d’uscita, un patto faustiano che Cloudman può solo accettare. L’amore e l’amicizia ricoprono un ruolo essenziale in questa storia, come già avevano fatto ne La meccanica del cuore Il bacio più breve della storia. Ma questa volta Malzieu riesce a introdurre nel suo mondo strambo e irriverente, un tema tanto delicato e doloroso come quello della malattia. E lo fa senza perdere di vista il suo stile provocatorio, ma riuscendo a mantenere sempre un garbo e una delicatezza che sfiorano la commozione. L’ospedale oncologico, sinonimo di sofferenza e disperazione, diventa nelle sue pagine un luogo magico ed etereo, in cui la leggerezza delle piume diventa il solo mezzo che Tom possiede per continuare ancora a sognare.
E il significato di questo romanzo è impossibile e disarmane insieme. Quello di un mondo che non esiste, ma che ognuno di noi porta dentro di sé. Un mondo che riesce non solo a sfidare la morte, ma soprattutto a vincerla.

CENT’ANNI DI SOLITUDINE (Gabriel García Márquez)



Le vicissitudini della famiglia Buendía nascono dalla mente del celebre Gabo e sembrano non giungere mai a una fine. Le generazioni si succedono per 20 lustri senza mai trovare la risoluzione dell’infelicità che le ha sempre tormentate. Quella dei Buendía appare quasi come una maledizione, iniziata da quando José Arcadio Buendía e la moglie Úrsula Iguarán, mettono le loro radici nella città di Macondo, da loro stessi fondata. Da qui un susseguirsi di disgrazie e lutti colpiranno incessantemente tutti i protagonisti, incapaci a ribellarsi a un destino abietto e sconsiderato che vuole la sua fine solo con la nascita di un figlio con una coda di maiale, come preannunciato dalle pergamene dell’indovino Melquiades, che gli abitanti provano a decifrare. La saga dei vari Aureliani sforna così i più disparati stereotipi dei vizi umani e delle loro aberrazioni. Incesti, morti, resurrezioni e stramberie, fanno da cornice alle dolorose vicende storiche del Sudamerica per contrastare l’ascesa del colonialismo statunitense. Una grande allegoria della storia colombiana, dilaniata dalle lotte tra il partito Conservatore e quello Liberale, eppure travolta e aggrappata al cambiamento e all’ammodernamento, con l’arrivo della ferrovia, della radio e delle automobili. Una storia di avanguardia in cui i Buendía non troveranno mai posto, schiavi della loro incessante solitudine e di un destino che diviene uno stato mentale. Come quello del colonnello Aureliano Buendía, che promosse trentadue insurrezioni senza vincerne una, che ebbe diciassette figli illegittimi e glieli uccisero tutti, che sfuggì al famoso plotone di esecuzione, per poi finire i suoi giorni fabbricando pesciolini d’oro.

DIMMI CHE CREDI AL DESTINO (Luca Bianchini)


Ho sempre avuto un rapporto di amore e odio con Luca Bianchini. Non mi ha mai convinto al cento per cento, ma non ho mai potuto fare a meno di leggere i suoi romanzi. L’ho scoperto, come molti, con Io che amo solo te e La cena di Natale, ma, a differenza di tanti (se non addirittura di tutti!) non sono rimasta particolarmente attratta da questo romanzo. Il vero colpo al cuore l’ho avuto con Siamo solo amici, che, a mio parere, resta il suo romanzo più bello. Con Dimmi che credi al destino è stata un’altra storia ancora. Ho cercato di mettere da parte entusiasmi e pregiudizi per non essere influenzata da inutili paragoni e provare a pensare quasi a un “Bianchini d’esordio”. Forse complice la mia attuale condizione di espatriata, non ho potuto non lasciarmi totalmente avvolgere dalla storia di Ornella, personificazione di una vita in perenne riscatto, che all’improvviso si trova costretta a fare i conti con un passato che ritorna, proprio mentre cerca disperatamente di salvare il suo presente. Contrariamente agli altri romanzi di Bianchini, non l’ho divorato in pochi giorni, ma mi sono voluta prendere il tempo giusto per assaporarne ogni pagina e ogni sfumatura, perché ho capito da subito che questo è uno di quei romanzi che ha bisogno di sedimentare ed essere metabolizzato, prima di arrivare al lettore.
I suoi personaggi, così come le dinamiche che li accomunano e li tengono insieme, sono un continuo crescendo, che svelano di volta in volta, i loro vissuti personali. A volte scontati nei cliché ora della cinquantenne sull’orlo della crisi di nervi, ora del napoletano medio, ora dell’inglese con la fissazione per la letteratura italiana. Banali sì, ma mai ridicoli. Perché questi personaggi propongono i difetti e le insicurezze del mondo con una sensibilità e una grazia che non può non suscitare l’affetto del lettore. Forse questo nuovo libro di Bianchini manca di leggerezza, ma è una diretta conseguenza dello spessore morale delle tematiche affrontante, che ci lasciano qualche sorriso in meno, ma tanti spunti di riflessione, attraverso un romanzo che, partendo da una storia vera, va a toccare tutte le corde che tengono in equilibrio le emozioni umane.

DRACULA (Bram Stoker)



Il romanzo di oggi viene direttamente dalla mia top 10 dei preferiti! Ho amato da subito quello che viene considerato, purtroppo a ragione, l’ultimo vero romanzo gotico, per quel connubio perfetto di storia, fantascienza e orrore, tenuti insieme dalle personalità chiare e delineate dei suoi protagonisti e annaffiato da un pizzico di romanticismo.

La figura del sanguinario Conte Dracula è solo il crocevia in cui convengono tutti i protagonisti del romanzo. Jonathan Harker e la sua amata Mina, il Professor Van Helsing, John Seward, Renfild, Lucy, Quincey P. Morris, Lord Godalming. Personaggi che non si perdono nella cornice sbiadita che fa da supporto alla storia principale, ma portano in scena le loro vite conferendo lo spessore che caratterizza quest’opera. Purtroppo, le varie trasposizioni cinematografiche non gli rendono giustizia, perchè non soltanto non ne tracciano il significato, ma ne stravolgono la trama. Quello che più mi ha sorpreso è stato proprio il fatto di pensare di leggere una storia conosciuta e trovarmi invece davanti a un romanzo assolutamente inedito che mi ha completamente rapita. La minuzia con cui vengono narrate le vicende, tutte ricostruite a ritroso attraverso appunti, lettere e pezzi di diario, impedisce di perdere il filo della trama, e ne conferisce piuttosto dinamicità, alimentandone la lettura. Ogni personaggio è un microcosmo fatto di pregi e difetti, di vizi e debolezze che sono quelli di ogni essere umano. Eppure sarà proprio l’unione di questi piccoli e imperfetti microcosmi che sconfiggerà la potenza ultraterrena del Conte, riportandolo a una dimensione di finitezza umana. Il Vampiro assetato di sangue non è altro che il Male personificato che aleggia in ognuno di noi che ha preso la personalità dei più agguerriti e spregiudicati condottieri e conquistatori della storia. Il riferimento ad Attila, a Vlad III e alle popolazioni vichinghe si fonde con l’horror vampiresco generando una delle allegorie più geniali della letteratura mondiale. 

Bram Stoker, visionario d’altri tempi, ci ha regalato un romanzo senza precedenti che incentra tutto sull’equilibrio degli opposti, romanzando la lotta tra il bene e il male con un’originalità densa di storia e tradizioni.